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Dal PNRR all’antimafia: la centralità del Modello di organizzazione, gestione e controllo (MOG 231/2001)

Il recentissimo decreto legge (approvato dal Consiglio dei Ministri il 27 ottobre e pubblicato in G.U. il 6 novembre u.s.) per l’attuazione del PNRR menziona, nell’ambito delle proprie pieghe, anche il Modello di organizzazione, gestione e controllo (MOG) ai sensi del D. Lgs. 31 giugno 2001, n. 231 (231/2001) sulla responsabilità degli enti. 

Significativo che il legislatore abbia deciso di cogliere l’occasione di un decreto con l’importante ruolo che il PNRR assume per cristallizzare una prassi che gli operatori conoscono, la quale testimonia, una volta di più, l’importanza della prevenzione degli illeciti e della adeguata organizzazione interna dell’impresa.

Ci si riferisce, in particolare, alla previsione (art. 49 del decreto legge, nell’ambito del Titolo IV “Investimenti e rafforzamento del sistema di prevenzione antimafia” che interviene sul c.d. codice antimafia, il D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, introducendovi un art. 94-bis dedicato a quella che viene definita “Prevenzione collaborativa”) che valorizza proprio il MOG anche nell’ambito delle situazioni di imprese in seno alle quali siano stati riscontrati anche solo «tentativi di infiltrazione mafiosa... riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale».

Si tratta, insomma, di fenomeni ancora distanti dalla compartecipazione mafiosa colpita dal noto art. 416-bis c.p. e dal connesso strumentario sanzionatorio[1].

In questi casi, l’autorità competente a intervenire è il Prefetto – prima ancora della magistratura penale – al fine di ricondurre tempestivamente nella piena legalità le attività di impresa.

L’anticipazione della tutela giuridica apprestata dall’ordinamento con le norme in esame testimonia come i fenomeni in discorso siano molto più ampi di quelli immediatamente riconducibili ai richiamati reati (evidentemente rientranti tra quelli di maggiore allarme sociale) e, proprio per questo si rivelano più insidiosi, meno facilmente riconoscibili e – così – possono raggiungere l’economia lecita e imprese di dimensioni più o meno ampie.

Ebbene, in queste situazioni, al Prefetto compete di «prescrive[re] all’impresa, società, o associazione interessata … l’osservanza di una o più misure», tra cui la prima, evidentemente principe e premessa per tutte le altre «a) adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale»[2].

È evidente, dunque, l’importanza attribuita al MOG che si rivela l’architrave della prevenzione e della sana organizzazione, oltre a essere il volano per la ripartenza – in condizioni di piena legalità – di tutto l’indotto economico dipendente dall’impresa coinvolta nella vicenda.

Come si diceva in premessa, l’iniziativa non appare una novità assoluta, in quanto l’adozione del Modello negli ultimi anni ha assunto un ruolo sempre di maggiore importanza, non solo e non più al fine precipuo di scongiurare i deteriori esiti sanzionatori previsti con la responsabilità d’impresa da reato ai sensi del D. Lgs. 231/2001[3], bensì, più in generale, di manifestare la cultura e l’organizzazione aziendale, la proattività della persona giuridica nel prevenire ed evitare illeciti da parte dei propri esponenti.

In questo senso, si è registrato un frequente apprezzamento (se non addirittura il diretto suggerimento) da parte delle Autorità per l’adozione di un’organizzazione adeguata e precauzionalmente orientata in seno a compagini sospettate di infiltrazioni mafiose o destinatarie di misure di prevenzione patrimoniale (confisca, sequestro). Inoltre, la medesima iniziativa è stata assunta in noti casi di indagine per sfruttamento del lavoro (il c.d. caporalato) ai sensi dell’art. 603-bis c.p. al fine di – dimostrando il cambio di strategia organizzative – superare le fasi di peggiore stallo per l’attività produttiva e favorire il passaggio a soluzioni meno invasive della libertà d’impresa[4]

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In tutte queste occasioni, le realtà d’impresa coinvolte si sono impegnate a “mappare” le proprie aree di operatività al fine di individuare quelle meritevoli di opportune misure volte a prevenire ed evitare la commissione di illeciti, così come – con riguardo all’antimafia – la contiguità al crimine organizzato. 

Le attività, insomma, necessarie e tipiche della consulenza per l’adozione e l’implementazione di un effettivo ed efficace Modello di organizzazione.

Iniziativa che si rivela, una volta di più, nevralgica e inevitabile per affrontare seriamente le sfide del futuro e garantire una crescita economica effettivamente sostenibile a partire dalla sua piena conformità alle regole e alle migliori esperienze.

 

[1] Di particolare rilievo, anche per le imprese (e specialmente per quelle operanti nei settori creditizio e immobiliare, oltre ai comparti edilizio ed energetico) l’imponente sistema delle misure di ablazione, a propria volta composito ed eterogeneo, ma che trova speciale applicazione nella lotta alla criminalità mafiosa attraverso le ipotesi di confisca allargata e di prevenzione, che – frequentemente – incidono su beni intestati anche a soggetti estranei alla mafia in quanto tale e per la cui tutela sono necessari apposite impugnazioni.

[2] Il testo completo dell’art. 49 dello schema di decreto legge approvato è il seguente:

1. Al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo l’articolo 94, è inserito il seguente:

“Art. 94-bis (Misure amministrative di prevenzione collaborativa applicabili in caso di agevolazione occasionale.) 

1. Il prefetto, quando accerta che i tentativi di infiltrazione mafiosa sono riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale, prescrive all’impresa, società o associazione interessata, con provvedimento motivato, l’osservanza, per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a dodici mesi, di una o più delle seguenti misure: 

a) adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli articoli 6, 7 e 24-ter del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, atte a rimuovere e prevenire le cause di agevolazione occasionale; 

b) comunicare al gruppo interforze istituito presso la prefettura competente per il luogo di sede legale o di residenza, entro quindici giorni dal loro compimento, gli atti di disposizione, di acquisto o di pagamento effettuati, gli atti di pagamento ricevuti, gli incarichi professionali conferiti, di amministrazione o di gestione fiduciaria ricevuti, di valore non inferiore a 7.000 euro o di valore superiore stabilito dal prefetto, sentito il predetto gruppo interforze, in relazione al reddito della persona o del patrimonio e del volume di affari dell’impresa; 

c) per le società di capitali o di persone, comunicare al gruppo interforze eventuali forme di finanziamento da parte dei soci o di terzi; 

d) comunicare al gruppo interforze i contratti di associazione in partecipazione stipulati; 

e) utilizzare un conto corrente dedicato, anche in via non esclusiva, per gli atti di pagamento e riscossione di cui alla lettera b), nonché per i finanziamenti di cui alla lettera c), osservando, per i pagamenti previsti dall’articolo 3, comma 2, della legge 13 agosto 2010, n.136, le modalità indicate nella stessa norma. 

2. Il prefetto, in aggiunta alle misure di cui al comma 1, può nominare, anche d’ufficio, uno o più esperti, in numero comunque non superiore a tre, individuati nell’albo di cui all’articolo 35, comma 2-bis, con il compito di svolgere funzioni di supporto finalizzate all’attuazione delle misure di prevenzione collaborativa. Agli esperti di cui al primo periodo spetta un compenso, quantificato con il decreto di nomina, non superiore al cinquanta per cento di quello liquidabile sulla base dei criteri stabiliti dal decreto di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 4 febbraio 2010 n. 14. Gli oneri relativi al pagamento di tale compenso sono a carico dell’impresa, società o associazione. 

3. Le misure di cui al presente articolo cessano di essere applicate se il tribunale dispone il controllo giudiziario di cui alla lettera b) del comma 2 dell’articolo 34-bis. Del periodo di loro esecuzione può tenersi conto ai fini della determinazione della durata del controllo giudiziario. 

4. Alla scadenza del termine di durata delle misure di cui al presente articolo, il prefetto, ove accerti, sulla base delle analisi formulate dal gruppo interforze, il venir meno dell’agevolazione occasionale e l’assenza di altri tentativi di infiltrazione mafiosa, rilascia un’informazione antimafia liberatoria ed effettua le conseguenti iscrizioni nella banca dati nazionale unica della documentazione antimafia. 

5. Le misure di cui al presente articolo sono annotate in un’apposita sezione della banca dati di cui all’articolo 96, a cui è precluso l’accesso ai soggetti privati sottoscrittori di accordi conclusi ai sensi dell’articolo 83-bis, e sono comunicate dal prefetto alla cancelleria del Tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione.”. 

2. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, altresì, ai procedimenti amministrativi per i quali, alla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni, è stato effettuato l’accesso alla banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e non è stata ancora rilasciata l’informazione antimafia.

[3] È noto infatti che, a fronte di un reato commesso nell’interesse o a vantaggio di una persona giuridica (art. 5 D. Lgs. 231/2001) da un suo esponente (apicale – ai sensi dell’art. 6 D. Lgs. 231/2001 – o a questo sottoposto – ai sensi dell’art. 7 –), al fine di evitare la responsabilità dell’ente medesimo è indispensabile dimostrare la previa adozione e implementazione, efficace, di un MOG (art. 6, co. 1, del decreto citato) e, in buona sostanza, l’inevitabilità (da parte della società) del reato. Ove tali prove fossero carenti, l’introduzione di un nuovo MOG, tardivo evidentemente, o la sua modifica, avrà comunque l’effetto di scongiurare le sanzioni deteriori e determinare una riduzione di quelle che dovessero essere applicate, operando quale attenuante (art. 12, co. 2-3, D. Lgs. 231/2001).

[4] Nel corso delle indagini, così come al loro esito, laddove vi siano sospetti degli illeciti menzionati, l’Autorità giudiziaria procede frequentemente a sequestri dell’azienda che comportano il subentro, negli organi gestori, di amministratori giudiziari con poteri che estromettono i precedenti operatori economici. Attraverso la prova di un miglioramento delle condizioni operative e gestorie, quale si può fornire attraverso l’implementazione di un (tardivamente) adeguato Modello, è invece possibile richiedere la sostituzione della misura in esame con il Controllo Giudiziario, nell’ambito del quale, malgrado l’Autorità conservi la possibilità di intervenire sul governo dell’impresa (e, tendenzialmente, proprio attraverso il medesimo amministratore giudiziario già nominato), gli organi sociali ordinari tornano alla propria attività.

Reati ambientali: indagini contro società industriali. Una riflessione a partire da un recente caso concreto.

Negli ultimi anni si sono susseguite, non senza rilievo mediatico, sentenze di condanna nei confronti di diverse realtà industriali coinvolte in rilevanti episodi di c.d. “inquinamento ambientale”.

D’altronde, gli attori economici hanno concentrato sempre maggiore attenzione sulla sostenibilità (anche e prima di tutto ambientale), trascinando con sé iniziative eterogenee, di sicuro impatto anche sul fronte normativo e giudiziario.

Non sono viceversa quasi mai rese note (anche nell’interesse dei soggetti coinvolti) le pur numerose pronunce assolutorie (art. 530 c.p.p.) o quelle – anticipate rispetto alle prime – di archiviazione delle indagini (art. 409 c.p.p.) per fatti analoghi.

Di recente, per esempio, si è chiusa con l’archiviazione un’indagine per reati ambientali che si era protratta per lungo tempo a danno di una Società manifatturiera.

Nel caso di specie, la difesa, proprio per la durata delle indagini – e la reiterata pratica della richiesta di proroghe da parte della Procura – aveva richiesto, nell’interesse della cliente, il rigetto della proroga delle indagini (ex art. 406, co. 3, c.p.p.).

In particolare, la Società aveva potuto dimostrare la conformità della propria condotta alla normativa ambientale e aveva pertanto interesse a una rapida chiusura del procedimento, che si aspettava favorevole.

In effetti, a seguito della positiva decisione del Giudice per le Indagini Preliminari (che aveva respinto le istanze di proroga), al PM non è rimasto altro da fare che chiedere l’archiviazione (art. 408 c.p.p.) proprio citando dettagliatamente tutti i contributi che la difesa aveva prodotto nel corso delle indagini, unitamente ai coerenti accertamenti delle pubbliche autorità.

Il caso si è così risolto favorevolmente per l’impresa, malgrado la durata delle indagini palesasse l’intenzione della magistratura di individuare un punto debole nell’organizzazione della Società, soprattutto a fronte delle numerose denunce di alcuni cittadini che ritenevano, in modo apodittico, “inquinante” lo stabilimento insediato nei pressi del loro centro abitato.

L’ostilità di questa (minoritaria ma insistente) porzione della popolazione aveva, a propria volta, potuto manifestarsi sia nel corso delle indagini (con numerosi depositi di consulenze tecniche e documentazione di vario genere) sia all’esito del procedimento; i medesimi si sono opposti alla richiesta di archiviazione, iniziativa che ha reso necessario argomentare, tramite articolate memorie e udienze di discussione, la correttezza della decisione della Procura, giungendo all’archiviazione del procedimento.

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Pertanto, sono stati finalmente smentiti i reati inizialmente contestati, dall’inquinamento (ex art. 452-bis c.p., da cui discendeva la responsabilità amministrativa dell’ente, ai sensi dell’art. 24-undecies, D. Lgs. 231/2001) al getto di cose (ex art. 674 c.p.), ipotizzato in relazione alle emissioni di fumi molesti, sino alle lesioni colpose (art. 590 c.p.) asseritamente derivanti dalle emissioni nocive dello stabilimento.

Ciascuno di tali reati richiede, come noto, appositi presupposti - elementi costitutivi - che è stato possibile escludere nel caso di specie. In  particolare, fra questi, merita una citazione l’ancora recente fattispecie di inquinamento (introdotta nel 2015).

Precisamente, «il reato in questione è senza alcun dubbio un reato di danno, causalmente orientato»[1]. E tale causalità deve orientare la richiesta violazione di legge cioè l’abusività della condotta (altrettanto prevista dalla norma).

Come noto, la causalità anzidetta è orientata all’evento inquinante, il quale è individuato dalla normativa con le locuzioni, di per sé non precise, “compromissione” e “deterioramento”, che la giurisprudenza ha chiarito. Si deve trattare di «un’alterazione, significativa e misurabile, della originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema, caratterizzata, nel caso della “compromissione”, da una condizione di squilibrio funzionale, incidente sui processi naturali correlati alla specificità della matrice o dell'ecosistema medesimi e, nel caso del “deterioramento”, da una condizione di squilibrio “strutturale”, connesso al decadimento dello stato o della qualità degli stessi»[2].

Nella vicenda in esame, tali presupposti mancavano, non ricorreva la prova di emissioni moleste (mai appurate dagli organi accertatori, ma solo dai denuncianti), mentre con riferimento alle lesioni colpose, la pronuncia ha recisamente ribadito che mancasse la stessa «condotta foriera delle conseguenze [nocive], perché … non sono state riscontrate emissioni in atmosfera … tali da superare le soglie consentite»[3].

L’ordinanza di archiviazione ha escluso, altresì, qualsiasi sorta di nesso di causa tra la conduzione dello stabilimento industriale e le lesioni lamentate da alcune persone offese, le quali – evidentemente – trovavano la propria eziologia in circostanze estranee a quelle indagate a carico dell’impresa. Come noto, la causalità è sempre un elemento determinante e tra quelli principalmente discussi nei processi penali per lesioni colpose e per tutti i reati, anche gravi, colposi d’evento, come dimostra l’imponente casistica in tema di errori medici e di infortuni sul lavoro o (soprattutto) nel caso di malattie professionali.

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In questo caso, come spesso capita di vedere, si sono rivelati importanti due fattori:

  • da un lato, le solerti iniziative difensive e la qualità dei contributi scientifici da contrapporre alla c.d. junk science che – purtroppo – talvolta fa anche ingresso nei processi penali;
  • dall’altro, la qualità dei presidi disposti ex ante dall’impresa (le adeguate due diligence anche penali oltre che tecnico ambientali, le procedure e modelli organizzativi, le relazioni virtuose con gli enti pubblici), attraverso i quali è stato possibile rappresentarne un ruolo del tutto differente da quello proposto dai denuncianti.

Tali elementi hanno consentito di raggiungere una definizione favorevole, in via anticipata rispetto al coinvolgimento nel più complesso giudizio dibattimentale, con ricadute positive anche per la reputazione della Società la quale non è stata neppure destinataria di un avviso di conclusione delle indagini preliminari (art. 415-bis c.p.p.), né tanto meno di una richiesta di rinvio a giudizio (art. 416 c.p.p.): eventi solitamente connessi alla diffusione di notizie sulle indagini che, spesso, finiscono per offendere il buon nome degli interessati prima dei doverosi approfondimenti.

[1] Cfr. Cass. pen., sez. 3, 31 gennaio 2017, n. 15865, in Ced Cass., rv. 269491-1, p. 6. Conf. Cass. pen., sez. 3, 6 luglio 2017, n. 52436, ivi, rv. 272842, p. 6.

[2] Cfr. Cass. pen., sez. 3, 21 settembre 2016, n. 46170, in Ced Cass., rv. 268059-1, pp. 6-7. Conf. (espressamente) Cass. pen., sez. 3, 31 gennaio 2017, n. 15865, in Ced Cass., rv. 269491-1, p. 5.

[3] Uff. GIP Parma, 3 giugno 2021, pp. 56 ss.

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